Non sono mai stato un grande fan di Iacona e del suo programma domenicale “Presa diretta” però le prime due puntate che ho visto quest’anno mi hanno lasciato notevolmente soddisfatto perché ho apprezzato il nuovo metodo di fare giornalismo e, complici gli ultimi mesi di fuoco sia economicamente che politicamente, gli argomenti si fanno molto interessanti. In particolare la puntata di domenica 19 settembre (http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-03cd89b1-7425-4962-9aa0-0f44ac3b62f6.html) è stata a dir poco sconvolgente. Parlava del mercato del lavoro in Italia, del precariato e dei vari contratti lavorativi che non danno sicurezza ad un’intera generazione di persone che il conduttore ha chiamato “generazione sfruttata”. Sfruttata perché alla mia generazione vengono offerte situazioni contrattuali che stanno un grandino sopra lo sfruttamento. Prendiamo ad esempio lo stage che ha sostituito il contratto di apprendistato, e che ho più volte criticato in questo blog. Io chiamo lo stage “sfruttamento legalizzato” perché solo una bassa percentuale degli stage offre davvero qualcosa ai giovani in fatto di competenze e conoscenze. La maggior parte degli stage sono usati dalle aziende per assumere manodopera a costo zero. Devi eseguire un compito relativamente facile e poco specializzato? Non vai ad assumere per sei mesi una persona, prendi uno stagista e costa niente e hai il lavoro fatto. Ancora più vergognoso è se è lo Stato a sfruttare i giovani attraverso gli stage: io stesso sono rimasto incastrato in questo meccanismo di stage e non ho visto mai un euro dai lavori che ho svolto. A mio avviso il principio generale che dovrebbe vigere nel nostro ordinamento è che il lavoro, in qualunque forma, va retribuito. Non si possono dare alle aziende possibilità così ampie di sfruttare i lavoratori senza pagarli. Poiché il nostro sistema si basa sul denaro, se io perdo tempo a lavorare è giusto che questa perdita di tempo mi venga remunerata un minimo. Ma a favorire tutto questo proliferare di contratti assurdi è l’attuale diritto del lavoro che di certo impedisce ai giovani di fare progetti a lungo termine. Oltre a ciò si deve anche menzionare l’eccessiva pressione fiscale attuata dallo Stato nei confronti delle aziende e che rende poco conveniente per la singola impresa assumere una persona. D’altronde che si può dire se un lavoratore ad un’azienda costa il doppio del netto in busta paga e se un’azienda ha tante difficoltà a licenziare?
Fondamentalmente quello che mi sconvolge è il pensare che nessun Governo o partito politico ha cercato negli ultimi anni di dare avvio ad una riforma del diritto del lavoro dando l’idea che in Italia va bene così, siamo soddisfatti del nostro diritto del lavoro. Il mio obiettivo non è quello di reclamare il posto fisso per tutti, e contratti a tempo indeterminato per tutti. So perfettamente che questo non porterebbe il mercato del lavoro ad un’efficienza accettabile, ma non possiamo nemmeno credere che i giovani debbano andare avanti ad apprendistati e stage professionalizzanti! Uno Stato deve essere in grado di garantire prospettive certe al proprio popolo. Deve saper mettere in concorrenza i vari lavoratori al fine di ottenere il risultato migliore attraverso la concorrenza, ma deve anche saper fornire certezze alle nuove generazioni. L’Italia al momento certezze non ne dà, e la fine del servizio la dice lunga! Iacona è andato a Barcelona dove c’è la maggiore comunità di italiani all’estero e ha scoperto che lì in Spagna gli italiani espatriati vivono meglio di come vivevano in Italia. La Spagna ha saputo valorizzare i loro talenti tanto da permettergli di avere le certezze giuste per fare una famiglia, cosa che in Italia non è accaduta. La mancanza di certezze alla lunga provoca questo: matrimoni contratti oltre i 30 anni, pochi figli, tasso di natalità basso. Secondo me è indicativo se tutti quegli italiani hanno fatto dei figli solo una volta che sono giunti in Spagna! E su questo aspetto la classe politica dovrebbe riflettere! Non solo: il problema forse più grave è che l’Italia rischia, nel lungo termine, di avere un deficit di conoscenze. Mi spiego: abbiamo persone e strutture che ci permetterebbero di essere una Nazione all’avanguardia ma non le sfruttiamo! Importiamo manodopera non specializzata, immigrati dall’Africa che svolgono lavori umili ma necessari e di cui ogni Paese ha estremamente bisogno. Però si tratta di manodopera non specializzata, si tratta di lavori che ciascuno di noi potrebbe fare. Invece noi esportiamo ricercatori e manodopera altamente specializzata, laureati, persone che fanno la fortuna di altri Paesi. Studiano qui e applicano ciò che hanno studiato all’estero. A lungo termine (ma in Italia chi cavolo guarda al lungo termine?) questa strategia è perdente perché crescono gli altri Stati grazie agli italiani ma non cresciamo noi. E questo è il secondo importantissimo effetto dell’attuale sistema lavorativo, sociale e politico. La nostra classe politica su questo deve interrogarsi, sul fatto che gli italiani debbano andare all’estero perché se restano in Italia devono andare avanti con lo stipendio dei genitori! A nessuno credo piaccia andarsene di casa e vivere in un altro Paese, soprattutto se parliamo dell’Italia che è bellissima, ma ormai questo si sta rendendo necessario. Imprescindibile direi.
Altro punto che voglio analizzare è il perché le aziende siano “costrette” a offrire contratti junk da qualche spicciolo al mese. Oltre alla tassazione di cui ho già parlato e che non rende conveniente l’assunzione c’è anche il fatto che le università italiane sono di bassissimo livello. Non preparano, cioè, all’entrata nel mondo del lavoro dei ragazzi. Forniscono nozioni prettamente teoriche che poi all’atto pratico servono a poco. Praticamente studi cinque anni all’università e quando entri nel mondo del lavoro non sai ancora niente e per l’azienda non sei altro che un peso. Non vorrei che di questo passo i giovani dovessero, a 24 anni, pagare un’azienda per poter fare tirocinio, dopo aver pagato 5 anni di università! Se invesse si riformasse il sistema universitario dando maggior peso alla pratica lavorativa piuttosto che alla mera teoria forniremmo al Paese una schiera di giovani pronti già per l’ingresso nel mondo del lavoro e che non necessitano di lunghi periodi di apprendistato/prova per imparare un mestiere. Invece l’università italiana sembra essere scesa di livello tanto da essere paragonata più ad un liceo che ad una formazione superiore. Si dovrebbe, secondo me, essere selettivi sia nell’ingresso del mondo universitario sia nei programmi. L’Università non dev’essere qualcosa di scontato o un percorso qualunque; dev’essere un percorso che una persona intraprende perché davvero motivata. Dunque o si propongono programmi sempre più difficili, oppure si seleziona all’ingresso, o a livello di conoscenze possedute o a livello di reddito. Lo so che la seconda scelta può essere odiosa e fa molto American style ma se aumentiamo le rette universitarie del doppio affiancandole a generose borse di studio e a sgravi fiscali al raggiungimento di tot crediti l’anno eviteremmo di vedere gente perditempo all’università o persone che si iscrivono per godere dei benefici della vita da studente universitario (feste il sabato sera, il venerdì, il mercoledì e pure la domenica).
Come mostrato, quindi, la puntata di Presa Diretta si è rivelata molto utile per prendere coscienza di un problema non affatto indifferente e cioè che il mercato del lavoro italiano va regolamentato diversamente. Le linee guida da tener presente secondo me dovrebbero essere quelle indicate in questo post, ma bisogna anche ricordarsi gli effetti nefasti sulla società di politiche occupazionali sbagliate. Non sottovalutiamo il basso tasso di natalità o il deficit di conoscenze perché lo sviluppo di una società si basa sulle nuove generazioni e sulle conoscenze. Le due generazioni precedenti alla mia già ci prospettano un futuro fosco fatto di pensioni molto basse e occupazione scarsa, almeno che si diano da fare per cambiare il mondo del lavoro attuale! Tempo ce n’è ma non troppo. Non tergiversiamo, grazie, come abbiamo fatto sinora. C’è da rivoluzionare un paese vecchio che fa una figura pessima persino al cospetto della Spagna che, dicendolo onestamente, non ha mai brillato né per sviluppo né per qualità della vita. E forse un motivo ci sarà!
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